
L'omaggio a Tacconi prosegue con la ristampa di un episodio di Marti Silente (su testi di Ramello).
Non ho mai solcato mari tempestosi, a bordo di un cargo. Non ho attraversato deserti infuocati. Non mi sono mai addentrato in foreste amazzoniche o tra giungle infestate da migliaia di insetti voraci e da serpenti velenosi. Non ho avuto donne o mogli sparse nei continenti.
Ho avuto un solo amore, grande, che mi ha accompagnato per lunghi, lunghi anni. Un amore che mi ha dato la possibilità di vedermi ogni giorno, al tavolo dei miei sogni. Sono seduto al mio tavolo di lavoro, e guardo me stesso. Una boccia piena d'acqua, due vasetti e una piccola anfora da cui spuntano, impazienti e disordinati, molti pennelli, i miei pennelli. E anche, matite, penne, gomme, un paio di forbici, fermagli, la boccetta di inchiostro, inchiostro di china, una riga coperta di macchie, bianche, nere. Molte macchie. Tubetti di colore semi spremuti, che non hanno trovato la loro ordinata collocazione, occhiali, una lente, un modellino di aereo senza una ruota. Tutto questo ho guardato con affetto, con ansia, ogni mattina, dopo un caffè. Ho disegnato, raccontando a me stesso, prima che ai lettori. Sognando e disegnando. Ho sognato di pilotare uno "Spitfire" o un "Macchi". Ho impugnato la cloche e ho disegnato vertiginose affondate, ho dato calci alla pedaliera e ho affrontato l'avversario con secche virate, derapate e "tonneau" sparati. Sono stato l'eroe di tante avventure, il "carogna" che affronta la polizia con una Colt 45 o una mitraglietta "Scorpion", il bello, l'eroina, bella, gentile o provocante, la puttana, spavalda o vittima. Sono stato forse un attore che interpreta diverse parti. A volte l'interpretazione è ottimale, a volte meno o negativa. Ho sognato troppo. Ma ho anche ammirato, applaudito e anche invidiato, altri sognatori. Tanti. Ho conosciuto gente. Durante un viaggio, in uffici, in banca, nel corso di convegni, conferenze stampa. Mi sono sentito sempre e ancora un ragazzo, un ragazzo di fronte a individui arrivati, arroganti, superbi, stupidi. Sicuri di se stessi e di quanto facevano o dicevano. E io? Sarò sempre un ragazzo che tutto deve vedere e imparare? Ho preso un foglio, bianco, pulito e ho disegnato tanti piccoli uomini, piccolissimi, superbi, autoritari, furbi e li ho trasformati in ancora più piccoli vermi brulicanti. Ho posato matita e pennello e ho calato violentemente il palmo della mano sul foglio. Anche questo è stato un sogno... come tutti i miei disegni. Soltanto sogni, sogni di carta!
C'è ancora un sogno che vorrei disegnare, che disegnerò! Sono a bordo di un potente aeroplano, chiuso in uno stretto abitacolo, il cruscotto lampeggiante di piccole luci, casco e maschera dell'ossigeno, cinture allacciate. Comandi al centro, manetta tutta avanti. Decollo perfetto, prendo velocità e tiro il volantino al petto. Salgo velocemente in una lunga cabrata verticale, foro le nubi, bianchi cumuli torreggianti in cui rivedo i volti, tanto amati, di chi mi ha preceduto in questa ascesa. Sbuco nell'azzurro del cielo e continuo a salire. La velocità non diminuisce, non c'è stallo e il cielo diventa blu, blu scuro. Le luci del cruscotto sono spente e tutto diventa nero. Un bel nero.