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28 marzo 2006

Tutto è vanità

Ok, scindo questo post dal precedente...
A proposito di belle storie e di metafore, tempo fa scrissi un articolo su Maus di Art Spiegelman per una fanzine cagliaritana ("Clark's Bar") , in seguito riproposto on line su Glamazonia. L'ho scritto con molta passione, sulla scia dell'ennesima lettura di questo capolavoro. Con grande piacere (egocentrismo a gò-gò) vedo che il pezzo è citato spesso. Sui Classici del Fumetto di Repubblica, per esempio (Maus, a cura di Andrea Plazzi) e poi su internet, su siti italiani e persino stranieri (wow!). Eccone quattro:
- Voce "Maus" nell'Enciclopedia del Fumetto UBC
- Tebeosfera: Argentinas en Quadritos (sito argentino)
- Contando lo incontable. El Comic como Tercera Lectura (sito argentino)
- RAI Libro


© Maus - Art Spiegelman

27 marzo 2006

Gatti, topi, pecorelle e cinghialetti

Una scusa giusto per dire che qualche giorno fa ho consegnato la prima stesura di un libro per bambini (protagonista della storia una masnada di gatti antropomorfi, carogne, politicamente scorretti... insomma, molto simpatici). Uscirà probabilmente a fine anno.
Non mi ero mai cimentato con i gatti e con i libri per bambini. È un'esperienza bellissima. Come al solito mi aiuta Cinzia, che con le sue piccole pesti dell'asilo (coccinelle, pesciolini e draghetti, per la cronaca) ha ogni giorno mille storie da raccontarmi. Lei stessa periodicamente le racconta ai suoi allievi (hanno un'età compresa tra uno e tre, massimo quattro anni) attraverso un teatrino ricavato da una scatola di cartone. Lei si nasconde dietro e fa affiorare in superficie i pupazzetti di Dentino (un topo), la sua mamma, Sirboneddu (un cinghialetto con una bandana rossa al collo), Mupe (una mucca-pecora di provenienza cinese, la vedete sorridente nella foto) e una pecorella irlandese della quale non ricordo il nome. Quando allestisce il teatrino, come per magia i bambini si chetano e ascoltano attentissimi avventure straordinarie come "Dentino impara a lavarsi i denti" o, in questo periodo, la nascita di Beh e Beeeh, pecorelle gemelle appena sfornate dalla mamma irlandese. I pargoli sono talmente assorbiti dalle storie da volerci entrare letteralmente dentro: così qualche tempo fa hanno abbattuto lo scatolone per poter vedere da vicino Dentino & Co.

18 marzo 2006

Il genere e la vita

Oggi mi sfogo: che palle 'il genere' e i suoi affini!

Un colpo al cerchio...
Che palle il noir, la science-fiction, le detective stories, il pulp, le crime stories, il cyberpunk, lo steampunk, la commistione, il melting pot, il fantasy, il trash, lo slapstick, il mystery, il beatnik, l'hard boiled, e ora 'sta mappazza di corsied'ospedalemixedupwithstoriediguerra e crossover tra poliziesco e anatomia patologica e un che di sovrannaturale latente e/o manifesto... ECCHEQUATTROPALLE!

Persi dietro ai postulati sugli sviluppi della narrativa contemporanea (che mi indicano cortesemente le formule per un racconto di successo) rischio di non capire più che la vita che mi circonda può essere allo stesso tempo più semplice e più complessa di quanto tomi di narratologia vorrebbero spiegarmi. Sono un egocentrico? Sì, eppure l'intelligenza di Desperate Housewives mi pare mille volte più ingenua e insincera della complessità di un'ora della vita di mia zia che va all'alimentari del suo paese a comprare un etto e mezzo di ricotta (e della storia della sua pensione che poco più di quello le permette di comprare).

E ora, il colpo alla botte...
Evviva! Evviva il genere, certo... evviva!
Certo che piace anche a me, e vorrei vedere... Purché non diventi una scusa per distrarci dal raccontare il qui e ora.
E allora evviva Gipi e la sua sincerità grondante sangue, puzza, amore, odio, miseria e nobiltà.
W il lirismo delle cose che ci circondano.
W il calore rassicurante di ciò che si conosce, piuttosto che raccontare racconti di racconti raccontati da altri.
W il nostro vissuto, così com'è, senza metafore imbellettanti.
Il mio maestro di teatro (Coco Leonardi) diceva spesso: raccontiamo qualcosa di 'altro', perché la nostra vita quotidiana non è interessante.
Sono convinto che sbagliasse. Lui è scampato alla dittatura in Argentina, ha viaggiato mezza Europa salvandosi grazie alla sua arte di attore. Ha visto un paese schiacciato dai militari, ha visto l'Europa con le sue contraddizioni, ha rivisto la sua Argentina rinascere, crollare e, forse, rinascere ancora. Oh, caspita, magari un attore ci raccontasse sempre la sua vita sul palco!
Quando ti alzi e accendi la moka sul fornello, quello che pensi nei 5 minuti prima di addormentarti, quello che senti quando leggi, i tuoi ricordi, che cosa ti viene in mente quando pensi al tuo nome.
Questa è l'avventura.
Questa è la vita.

E comunque viva anche Chandler. A prescindere.

11 marzo 2006

Scrivere, scrivere, scrivere!

Scrivere, scrivere, scrivere, fino all'ultimo filo di fiato!

Parafraso Alberto Sanna e un vecchio hit dei suoi "TNT"- i cagliaritani metallari sui trenta/trentacinque anni capiranno puntualmente... - per proclamare ufficialmente la malattia che gentilmente mi ammorba: scrivere (che è diverso dalla grafomania, almeno spero!).
In questi giorni di malattia (ah, che bellezza stare a casa! Seppure attaccati alla tazza del cesso, e poter fermarsi e riflettere... Libido otiosa) sono stato dal medico e durante l'attesa in anticamera ho beccato un Corriere Magazine dell'anno scorso con intervista a Salvatore Niffoi.
Illuminazione e pianto. Questo qui, all'alba dell'età pensionabile, dice di aver confessato alla moglie di soffrire per non aver portato a compimento una pulsione recondita: scrivere.
Manca poco che io pianga, davanti a due informatori scientifici e una gnocca in lista d'attesa. Niffoi in seguito è diventato un paradigma abusato da piccoli editori barbaricini per respingere manoscritti di conterranei capaci ma meno aderenti all'insperato corso editoriale (vergogna: avreste trovato un nuovo filone e un nuovo D'Orrico cui indirizzare le vostre preghiere).
Ma, lui sì, è un grande. Professore a Orani e scrittore in tarda età, per URGENZA.
Grazie Salvatore!

PS. L'illustrazione non c'entra un cass. È che dal post precedente mi portavo appresso il mito più recente: Brandy di Liberty Meadows! Cinzia comincia a guardarmi come un povero deficiente e, a parte che ha sufficientemente ragione, mi verrebbe da arrendermi all'evidenza: m'innamoro ancora delle eroine dei cartoon.
Allora Margot, oggi Brandy.

03 marzo 2006

Che cos'è davvero il mito

Lo ammetto, abuso anch'io dell'aggettivo mitico ma cerco di farlo con ironia. E soprattutto lo riservo a esseri, entità, opere d'arte che davvero - insindacabilmente! - lo meritano. Un esempio l'ho citato nel post precedente (Gli Aristocratici), altri li elenco qui di seguito e apro la lista a chi vuole contribuire:
- Bud Spencer: nonostante si sia pure candidato col partito del portatore nano di democrazia, non mi riesce di rinnegare la mia fede assoluta in lui e Terence Hill. Riguardo i loro film e non mi stanco mai. A volte arrivo a commuovermi. Mitologia patologica.
- Lino Banfi ne L'allenatore nel pallone e in Fracchia la belva umana. L'apice della cialtroneria artistica. Mitologia da quattro soldi.
- Totò in quasi tutti i suoi film. Lo so, siamo su un altro pianeta. Mitologia pura.
- I soldatini Atlantic. Se da militare ho rifiutato di sparare lo devo al fatto che avevo già sparato troppo con loro quand'ero piccolo. Mitologia antimilitarista.
- Benito Urgu: non è un semplice comico, è un poeta. Un altro per il quale arrivo a commuovermi (e la cosa mi preoccupa). Mitologia lirica.
- Edwige Fenech: tutto il mio immaginario erotico si coagulava su questa divinità. E ancora adesso quando mi ci imbatto facendo zapping ho un tuffo al cuore. Mitologia soliloquiale (per non essere più prosaico).
- Subbuteo: ovvero il più bel gioco che non ho mai potuto avere. Premesso che vengo da una famiglia nella quale il pane (e talvolta le rose) non sono mai mancate, certi giochi per me e mia sorella restavano relegati allo status di giocattoli che possono avere i nostri cugini ricchi ma noi no! E il Subbuteo era uno di questi. Ricordo quel fantastico campo da gioco in tessuto verde sul quale scivolavano come su uno snowboard improbabili calciatori a forma di trottola: spettacolari, con i colori delle squadre di calcio riprodotte perfettamente (il Cagliari! Lo volevo il Cagliari, caspita quanto lo volevo, anche senza avere il resto del gioco!). Ce l'avevano i fratelli Deplano, quelli dell'appartamento sotto il nostro: io li guardavo giocare e ci morivo un po'. In particolare mi colpivano gli elementi superflui, come gli spalti con il pubblico. Mitologia invidiosa.
- i Simpson. Ogni volta che inizia una puntata mi dico: "Vabbè, oggi non lo guardo, tanto è la stessa solfa" e invece dopo tre secondi mi ha già rapito, per l'ennesima volta. Mitologia da dipendenza.
- Mafalda. Il mito per antonomasia. Sulle sue strisce ho imparato a leggere, riflettere ed essere ironico. Mitologia da dipendenza.
- L'odore della carta dei fumetti degli anni Settanta. Credo li cospargessero di petrolio o cherosene in modo da renderli ancora più rancidi. Era un odore che ti inebriava e che annunciava l'inizio di uno dei divertimenti assoluti. I Fantastici Quattro avevano lo stesso odore degli Eterni, ma Topolino aveva un odore diverso e Alan Ford ne aveva un altro ancora. Mitologia da olfatto.

Continua?

02 marzo 2006

Tacconi con "Il Giornalino"

Un appuntamento da non perdere in edicola!
Allegato al "Giornalino" di questa settimana troverete i mitici Aristocratici di Ferdinando Tacconi e Alfredo Castelli, una di quelle opere che con umorismo e stile ha divertito e influenzato una generazione di lettori (e di sceneggiatori).
Sono particolarmente felice che il settimanale sanpaolino dedichi spazio a Tacconi nella sua collana di fascicoli intitolata I Maestri del Fumetto Contemporaneo che colma una lacuna della, comunque, ottima collana di Repubblica dedicata ai Classici del Fumetto.
Gli Aristocratici ebbero un grande successo sia in Italia (sul "Corriere dei Piccoli" prima e sul "Giornalino") che all'estero (in particolare in Germania su "Zack!").