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18 luglio 2005

Dove muoiono i San Siro (4)

Giorno 3, sera.
Sa bruscia e Isacco.
[Racconta Francesco]

La casa dei Serra è praticamente una villa. Ha un odore strano. Sa di vecchio, ma pulito. 
Per poco i miei cugini e Cecilia non ci sono rimasti nel vedermi tenere per mano quella vecchia un po’ avvizzita e dagli occhi bianchi. 

Sa bruscia è la bisnonna dei Serra, che ora abitano tutti in città o in Continente. Lei è l’unica a non aver voluto lasciare il paese. E' cieca ormai da tanto tempo e ha una domestica che ogni tanto le fa la spesa, l’aiuta a far da mangiare e tiene pulita la casa. Un tempo i Serra erano ricchi possidenti, lo sanno tutti in paese, e altro che una domestica avevano! Che erano ricchi lo sanno anche i ladri, che tante volte sono entrati nella casa per rubare soldi, oro, argenteria, ché tanto la vecchia cieca non li vedeva…

Poi  ha cominciato a circolare la leggenda e anche i ladri hanno preso a girare alla larga dalla villa. La leggenda è quella della vecchia cieca che è una strega e che squarcia i San Siro e anche la pancia di chi è cattivo. E la strega è contenta di questa legenda, perché quelle dicerie proteggono il giardino dei Serra e la villa.

Ho cercato di spiegarlo a Pietro e agli altri, ma non mi credono ancora e rimangono lì, sulla porta. Gliel'ho detto che quando ho trovato il pallone, lei mi ha trattato male perché credeva fossi uno come Balloi su nieddu, che ogni settimana si fa il giro di tre o quattro case per rubare. Non ne può più dei furti, sa bruscia. Poi ha capito che volevo solo il pallone e allora non solo me l'ha lasciato prendere, ma ha cominciato a raccontarmi di quando era giovane e che era amica della mamma di mia nonna e che nonna era poco più che una bambina quando quel giardino dei Serra era una specie di parco giochi aperto a tutti i bambini del paese, soprattutto durante la guerra.

"Che cosa c'è? Avete paura? Vi ho detto che potete entrare" ha detto sa bruscia. Pietro allora ha fatto la faccia seria seria. Tutti stavano zitti perché tutti fanno quello che fa Pietro, quando c'è da prendere una decisione. Poi però Cecilia ha parlato. 
"Biscotti ne ha?"
Pensa sempre ai dolci, Cecilia.

Dopo averci offerto a tutti una tazza di tè, la vecchia cieca comincia a raccontarci del suo nipotino, Isacco, morto proprio quando la guerra stava finendo. Dice che i tedeschi si stavano ritirando dall'aeroporto a dieci chilometri da qui, quello dove adesso c'è un campo di grano grandissimo. Dice che la guerra l'avevano ormai persa e che tornavano a casa e dice che loro non avevano mai avuto problemi con i tedeschi, perché in paese non ci passavano mai. Tranne quella volta. Le chiedo quale volta e lei si mette a piangere, silenziosa, che faceva una pena che ci veniva voglia di abbracciarla. 

Cavoli, sentendo di nuovo parlare di morti e ladri mi passava un po' la voglia di prendere il tè con quei biscotti buoni. "Signora, è molto tardi per noi. Nonna mi ammazza se faccio tardi!!!" dico facendo vedere che sono davvero agitato (beh, tardi lo era davvero!). 
"E' vero, è meglio se torniamo alla base" aggiunge quello sbruffone di Paolo, che aveva ripreso coraggio e faceva lo spavaldo. Lui è sempre così, soprattutto quando in piazza passa Romina, la figlia del macellaio. Lì non c'era Romina, ma lui faceva lo spaccone lo stesso.

La vecchia è molto gentile. Ci accompagna alla porta e ci invita a tornare quando vogliamo per  un tè con i savoiardi. 
La salutiamo. Con il pallone sottobraccio mi avvio al cancello… 
Il cancello!
Cavoli, mi ricordo che mia cuginetta Camilla dev'essere ancora di guardia al cancello! 

"Camillaaa!!!". Niente, figurati se risponde quella lì! Dopo un po' (me la stavo già facendo sotto: immaginavo le punizioni che mi avrebbero aspettato. Come minimo, se torno senza mia cuginetta non mi fanno più vedere Goldrake per un anno, forse anche due) la ritroviamo sul retro della villa. Aveva seguito un gruppetto di gatti randagi. Anzi, sembrava quasi rapita da loro: noi la chiamiamo e lei non ci risponde, come se non ci sentisse. Allora la seguiamo fino a ritrovarci in una parte abbandonata della villa. E' entrata in una stanza dalle persiane rotte. Non si vede un piffero e allora cerco la luce. L'accendo e vedo 
Camilla che sta facendo qualcosa. Allora ci fermiamo tutti in silenzio a osservarla. Con in braccio un micio, è ferma davanti a una parete di quella stanza abbandonata. Sta fissando il muro davanti a sé, senza dire una parola. 
C'è disegnata una figura umana, un bambino, di spalle...
 
Ora, io non lo so come ci si sente quando si è ubriachi, ma io no ero ubriaco e, ve lo assicuro... insomma, quel bambino sulla parete all'improvviso si volta verso di noi. O almeno così mi è sembrato.

A quel punto io e Pietro ci capiamo al volo senza fiatare. Prendiamo per un braccio Camilla e ce la diamo a gambe mentre la vecchia che ci aveva raggiunti grida di non aver paura. Tra le lacrime, disperata.

Con il cuore in gola che manco riuscivo a respirare, dopo aver varcato il cancello mi accorgo che Camilla, tutta sorridente, ha ancora in braccio uno dei micini della casa dei Serra.
Mentre riprendiamo fiato, nessuno parla di quello che c'era su quella parete. E io sono contento, perché mi sono già convinto di averlo sognato, ecco.
Poi Pietro dice: "Dobbiamo riportarglielo".
"Dobbiamo riportare che cosa?" dice Paolo.
"Il gatto. Dobbiamo riportare il gatto alla vecchia."
"Tu stai finendo di rimbecillirti. Io lì dentro non ci torno" risponde Paolo e allora con il fratello cominciano a bisticciare finché Camilla non salta fuori con una delle sue frasi strampalate: “Lo sapete che quel bambino si chiama Isacco? Me l'ha detto lui”.

- (4) continua, s'il vous plaît

14 luglio 2005

Dove muoiono i San Siro (3) - interludio

Giorno 3.
Pomeriggio, parte prima: I preparativi.
[Racconta Pietro]

Perfetto. Ho convinto i miei zii che Francesco con la sorella e la cuginetta venivano a pranzo da noi (a volte capita) e ai miei ho detto che io e mio fratello andavamo a pranzo dalla zia. Scientifico: se la sono bevuta come un bicchiere d’acqua, il che significa che abbiamo ancora qualche ora di tempo a disposizione per recuperare mio cugino dalle grinfie della strega senza coinvolgere genitori, zii, nonni e magari pure i carabinieri. 
Siamo grandi ormai e certe cose le dobbiamo risolvere da soli.

Mio fratello Paolo ha preso la fionda di metallo: è un’arma potentissima che lui carica con i bulloni dell’officina di nostro padre. 
Un giorno voleva farci vedere quanto era efficace usando un povero gatto come bersaglio. Sono bastati due schiaffi per fargli capire che ci fidavamo senza bisogno di dimostrazioni pratiche.

Cecilia è più sveglia di suo fratello, che pure è più grande. Ricordo quando gli volevo scattare quella foto sul leccio grande, quello all'uscita del paese che per salirci sopra bisogna usare una scala o delle sedie. Francesco aveva paura anche solo ad arrampicarsi, Cecilia invece è saltata su subito, che sembrava una scimmietta.Lei ha già capito il piano d’azione e so che di lei ci si può fidare. 
Invece Camilla è troppo piccola per una missione così impegnativa, però può essere indispensabile per dare l’allarme in caso di pericolo: urla a squarciagola come poche.

Per quanto mi riguarda, dovrò solo mantenere il sangue freddo e non dimenticarmi le parole in sardo: sa bruscia non solo non capisce bene l’italiano, ma si innervosisce se qualcuno non le parla in dialetto perché sospetta sempre che la si voglia imbrogliare.

Bene. 
Si passa all’attacco.

- (3) continua, continua (e benvenuti a 'sti...)

06 luglio 2005

Dove muoiono i San Siro (2)


Giorno 2
Pomeriggio

Credo di aver battuto tutti i record: ho buttato il pallone nel giardino al primo tiro. E ora chi lo dice a mio zio? Mi tocca andare a recuperarlo e non ne avrei nessuna voglia. E poi sta per iniziare Goldrake in tv. Si può essere più sfortunati?
Mio cugino grande, Pietro, mi dice che se voglio mi accompagna lui, oltre il cancello, e che però dobbiamo fare in fretta perché se fa buio poi è un pasticcio. 
Accetto la proposta. Scavalchiamo il cancello.
Ricadiamo in piedi e cerchiamo di ammortizzare la botta piegando le ginocchia in avanti: questo sistema me l’ha spiegato Pietro, che è uno appassionato di queste cose scientifiche. C’è un silenzio assurdo, come se il mondo fosse rimasto fuori da quel cancello. A essere sincero, nemmeno fuori dal cancello c’è mai tanto rumore: si sente ogni tanto solo qualcuno che sgomma per far sentire a tutti che si è comprato la macchina nuova. 


Egidio, per esempio. 
Lui adesso c’ha l’Alfa Sud color caffelatte e non fa altro che tirarla su e giù per via Roma come un pazzo. Non gli è bastato quello che ha combinato una notte con la Giulietta, quando è tornato dalla città ubriaco e si è schiantato contro il palo della luce davanti al bar. Ha fatto un botto che sembrava una bomba. 
Adesso non si sente nemmeno la macchina di Egidio. Sento solo il suono dei grilli e ogni tanto il rumore delle spighe sbattute dal vento. Mi piace il rumore delle spighe sbattute dal vento.

A un certo punto sentiamo un baccano dietro di noi: sono Paolo, Cecilia e Camilla. Ci stanno seguendo. Gliel'avevo detto di aspettare fuori ma non mi hanno ascoltato: se davvero nella casa ci sono i fantasmi, o se sa bruscia rapisce davvero i bambini, adesso la colpa della loro scomparsa sarà mia!

Quel cretino di Paolo sembra tutto contento, completamente elettrizzato. Più io e suo fratello gli diciamo di fare silenzio, più lui si diverte a raccontarci storie dell’orrore…
Noi cerchiamo di non ascoltarlo e di camminare stando attenti a sentire anche il minimo rumore, con le orecchie che ci fischiano per la concentrazione. Ci interessa solo il nostro pallone rosso e nero e lo cerchiamo tra queste spighe alte, fitte fitte. E intanto lui ci rompe l’anima con i suoi racconti del terrore, ché mi verrebbe da dargli un pugno per farlo stare zitto. 
La più terribile di quelle sue storielle la conoscevo già, ma lui l’ha raccontata in un momento di particolare tensione e allora…


Dice che nella casa abbandonata sa bruscia non fa collezione solo di palloni ma anche di bambini. Piccoli, grandi, e non importa se uno è buono o cattivo: importa essere ubbidienti e mangiare sempre quello che i tuoi genitori ti mettono in tavola.
Dice che la notte sa bruscia entra nelle case di tutti i bambini e con le sue unghie lunghe e affilate apre le pance dei bambini. Se vede che nella tua pancia c’è tutto quello che i tuoi genitori ti hanno detto di mangiare, lei ti ricuce e l’indomani ti svegli senza esserti accorto di niente. 
Dice che se invece ti apre la pancia e scopre che non hai mangiato tutto, allora ti lascia con le budella di fuori e tu muori per aver disubbidito ai tuoi genitori.

Questa storia me l’avranno raccontata decine di volte, ma stavolta mi ha un po’ impressionato. Io volevo concentrarmi solo nella ricerca del Supertele perché stava già facendo buio, e poi iniziava Goldrake, e poi se tornavamo tardi mia nonna ce le suonava di sicuro… e quello scemo che ci fa perdere tempo con le sue storie di streghe...

All’improvviso sentiamo un urlo. 
Facciamo tutti un salto per la paura, con mio cugino Pietro che spara parolacce in dialetto come non ne avevo mai sentite… 
È stata mia sorella. Mia cuginetta le ha morsicato la mano perché lei non voleva portarla con sé e... insomma, sembra non sia niente di grave ma succede il finimondo: dal giardino si sollevano una marea di corvacci neri e da tutte le parti cominciano a schizzare fuori come impazziti gatti di tutti i tipi e colori e nel circondario cominciano a ululare un sacco di cani... Quando cominciano a volteggiare anche i pipistrelli, Paolo batte tutti nella fuga e scavalca il cancello alla velocità della luce, lui che si crede il più coraggioso di tutti; Pietro invece mi aiuta a fare la staffetta alle due femminucce. 
In quattro e quattr’otto scavalchiamo anche noi. 

Ora siamo a casa a guardarci Goldrake con il cuore che ci sembra di sentirlo nelle orecchie.
Del pallone nessuna traccia. Quando mio zio mi chiede che fine abbia fatto, gli dico che l’ho prestato a Gigi "Turriedda", ma che domani me lo restituisce.


Giorno 3
Mattina

Ok, deciso. 
Il recupero del pallone deve avvenire di giorno, anzi, di mattina, così Paolo potrà raccontarci tutte le storie dell’orrore che vorrà e non ci farà più paura.
C’è un sole bestiale e la lamiera del cancello quasi mi ustiona mentre mi ci arrampico sopra. Per non sentire più il metallo bollente sulla pelle mi butto giù dal cancello troppo presto e finisco col sedere per terra. Mi rialzo in fretta e cerco subito il pallone rosso e nero che, cavoli, dovrà pure saltar fuori.
In cima al muretto di cinta ci sono i miei tifosi personali, dall’altra parte c’è la casa dei Serra, che con questo sole mi sembra meno spaventosa.

I miei tifosi mi sostengono e io mi sento come Paolo Rossi o Roberto Bettega: dribblo le spighe di grano e i papaveri, con lo sguardo basso per fare il tunnel a Berti Vogts (ooolèèèèèèè!) e cercare il Supertele di zio Gerardo. Mi sembra persino di sentire la telecronaca di quel giornalista bravo, Nando Martellini: “... ma attenzione, ecco che il campione prende palla sulla fascia e scende imperioso tra un nugolo di avversari, li salta, li dribbla, triangola con un compagno, riceve sul fondo, crossa al centro e – incredibile, cari telespettatori – il campione stesso va a incornare di testa sul suo cross ed è gol!!! Gol, amici telespettatori, gol! Era dai tempi di Gigi Riva che sui campi di giuoco non si vedeva un talento così!” e diceva proprio giuoco, che io non so nemmeno pronunciarlo bene.

Mi accorgo solo allora di essermi lasciato trascinare dalla foga dell'azione e di essermi avvicinato paurosamente alla casa della bruscia e che le voci che sento non sono incitamenti a concludere a rete ma le grida dei miei sostenitori che mi urlano di tornare indietro, perché lì sono in pericolo. 
Ma quale pericolo?! Qui non c’è nessuno, e poi… 
Eccolo lì, porca miseria!, eccolo lì il pallone rosso e nero. E che cavolo, ho fatto proprio un tiro potente per spedire il Supertele fin qui! Adesso lo raggiungo in un secondo, lo riporto a casa e abbiamo finito con ‘sta storia. 
Anzi. 
Dalla prossima volta giochiamo davanti alla casa dei Manca, che quelli ce lo restituiscono sempre, quando va nel loro terreno…

Non ebbi nemmeno il tempo di accorgermi di quello che stava accadendo. 
Sentii solo quelle urla lontane che mi dicevano di scappare e poi vidi delle dita rugose che mi afferravano un polso mentre mi accingevo a prendere quel pallone rosso e nero. Ricordo una stretta forte come la morsa dell’officina del babbo di Pietro e Paolo. 
E poi quelle unghie lunghe e appuntite.
Ricordo solo questo e il sole come un’enorme palla di fuoco giallo…

- continua (si spera!)