
Vivere la vita affacciati a una finestra, a osservare gli altri che passano, a riflettere senza mai prendere decisioni... Dev'essere come la famosa crisi del settimo anno nei matrimoni: al termine di ogni decade, da quando avevo 15 anni, mi capita la stessa cosa.
Nell'86, al termine della quarta ginnasio, greco e latino mi avevano prosciugato le energie a tal punto da arrivare sconvolto a fine maggio. L'instabilità emotiva gioca brutti scherzi: una volta, per un 3 e 1/2 in latino, improvvisamente mi salì la febbre a 40. Poi imparai a vaccinarmi: l'apice fu un 1 (sic!) in una versione a sorpresa di greco. A quel punto avrebbero potuto darmi anche zero spaccato che tanto la pellaccia me l'ero fatta, e pure bella spessa. Sta di fatto che per un po' meditai una rivoluzione nella mia vita: 'lascio il liceo e vado a fare il commesso nell'edicola/tabaccheria di mia nonna'.
Tutta questa risolutezza durò ben poco (per fortuna, in questo caso). I voti progressivamente migliorarono e rimandai la crisi di dieci anni.
Nel '96 io e la mia ragazza di allora ci lasciammo dopo una relazione di sei anni e mezzo. L'elaborazione del lutto ebbe la durata di una sessione meditativa in bagno, ma qualcosa stava succedendo. Cominciai ad abbandonare definitivamente un mondo che mi aveva accompagnato per anni, era il distacco definitivo da una fetta importante della mia vita che comprendeva anche il matrimonio tra i miei genitori, terminato pochi anni prima. Nel giro di pochi mesi la tristezza, l'amore, la poesia e il dolore mi avvolsero tutt'insieme, senza preavviso. Cominciai a scrivere come per un'esigenza vitale, come se le parole scritte fossero il mio ossigeno, e come se quello che ascoltavo intorno a me non fosse adeguato a esprimere qualcosa che qualcuno avrebbe dovuto assolutamente esprimere: i miei desideri, le mie speranze, ciò che soltanto io, per l'appunto, potevo conoscere.
Ne scaturirono un amore devastante e una depressione galoppante. Mi accorsi di essere stato 25 anni affacciato a una finestra a osservare gli amici che giocavano mentre io, chiuso in casa, continuavo a fare i compiti.
Non mi interessavano i giochi degli altri, però mi interessava giocare.
Oggi è di nuovo un po' così, con modalità e maturità diverse. Sono tornato alla finestra dopo aver giocato un po'. Rispetto ad allora sono felice perché più ricco (e non certo di soldi). Ma ho un'ambizione: scrivere, per non morire dentro tra dieci anni.
Sto meditando, dunque.
Voglio scendere a giocare.